La montagna come un'esigenza, quasi una dipendenza

Ogni occasione è persa recita il detto e fin tanto si può...
Sempre all'interno dei confini di regione e contro le avversità metereologiche pur di uscire prima del nuovo lockdown... ci siamo andati a prendere un pò di ciò che ci manca, montagna intorno, orizzonti vasti, vento e neve. Una ciaspolata improvvisata sulla dorsale tra il Vettore e monte Ceresa e una salita con tanto di fitta nevicata sul monte Piselli, la montagna di casa.


Dal passo del Galluccio verso il monte Ceresa - 14 gennaio


Con le minacce di un nuovo lockdown alle porte e la giornata di sole che si palesa nel bel mezzo della settimana non c’erano alternative, ho preso una giornata di ferie e ci siamo avviati per salire sul filo di confine di regione da Forca di Presta fino al Vettore; una classica, molte volte ripetuta, qualche volta anche in inverno ma la tanta neve di questo periodo era una attrattiva troppo forte, le prospettive di orizzonti chiari e lontani un motivo ulteriore, non abbiamo esitato un secondo. Tutto bello, eccitante, tutto secondo le previsioni, la giornata era davvero sfavillante ma non avevamo fatto i conti col vento; ma mica un vento così, tanto per soffiare. Già a Trisungo abbiamo capito che aria tirasse lassù in alto, sbuffi di neve si staccavano da ogni lato, le linee di cresta schiumavano ondate polverose, la vetta dava l’impressione di eruttare senza tregua neve come non ci fosse un domani, non eravamo così certi di riuscire a salire lassù. Dopo l’ultimo tornante prima del lungo traverso per raggiungere Forca di Presta ci si è messo pure il ghiaccio; la strada è stretta a causa dei cumoli ai lati lasciati dallo spazzaneve, due auto inchiodate nel bel mezzo non riuscivano a salire, fine dei giochi, non ci è rimasto che cercare di girare l’auto e cambiare progetto; manco siamo arrivati a Forca di Presta, di certo sarebbe stato quasi impossibile anche il solo uscire dalla macchina ma nemmeno il gusto di affacciarsi. Vabbè è andata, su due piedi, con Tonino, che saliva con noi su un’altra macchina per obbedire ai distanziamenti imposti dal periodo, abbiamo deciso di ridimensionare le pretese e ci siamo diretti nelle vicinanze, verso il passo del Galluccio, la sella che mette in collegamento il versante della valle del Tronto con Montegallo, ci aspettava una più tranquilla ciaspolata verso la montagna del Ceresa. Parcheggiamo sulla sella, nei pressi della torre di smistamento Enel, dove gli orizzonti iniziano ad allargarsi sul Montegallo fino alle colline e quasi al mare; verso Est, verso destra parte la tracia estiva, ora una larga fascia calpestata dai tanti che ci hanno preceduto. Si snoda prevalentemente su una contorta dorsale, con leggeri sali e scendi e qualche traverso dettato dalla copiosa nevicata che per il vento o per l’esposizione ha creato non pochi insidiosi cumuli. Il vento spira a folate improvvise, solleva nuvole di neve tanto che a tratti sembra di stare nel mezzo di una bufera in piena regola, una miriade di cristalli luccicanti si sollevano e ci ricadono addosso quasi offuscando l’orizzonte che quando si riapre si allunga fino alle vette della Laga e fino alle colline marchigiane; il paretone del Vettore alle nostre spalle è carico di neve e sono molto evidenti e dettagliate le cenge e i canali che Tonino mi descrive come linee di salita percorribili; un sogno e un desiderio proibito che lo stesso Tonino mi svela piano piano, per lui quella è stata palestra di tante scorribande, per me un coacervo di idee più o meno suggestive e pericolose. Saliamo e scendiamo, aggiriamo piccole boscaglie e qualcuna la attraversiamo, in un breve tratto di pendenza, per andare a prendere il sentiero evidente poco sotto, traversiamo un breve pendio all’apparenza innocuo, passa Tonino, io aspetto un po’ ma alla seconda ciaspola che affonda inizia un lento scivolamento di un profondo blocco nevoso; non possiamo che finirci in mezzo, il fronte si frantuma in grossi blocchi che sempre lentamente si separano tanto che ci finiamo nel mezzo; tutto si svolge a rallentatore, per pochi istanti, quelli che bastano per farci realizzare che a 10 metri iniziava il bosco e che non c’era spazio per prendere velocità e materiale per travolgerlo, che tutto questo non poteva tramutarsi in slavina grande o piccola che potesse essere. Infatti si ferma subito sul fronte del bosco sottostante, non abbiamo avuto il tempo di preoccuparci ma di scaricare un po’ di adrenalina si e anche di divertirci forse, Tonino sotto di me subiva la forza d’urto di una massa più compatta, ha dovuto districarsi tra rami e neve che lo aveva parzialmente seppellito, le ciaspole non lo hanno certo aiutato, io ricordo solo una breve scivolata e poi due blocchi alti quasi un metro intorno che si andavano distanziando lentamente. Uno strano momento insomma, una bella palestra anche. Ci abbiamo continuato sopra per raggiungere il sentiero e che ci siamo anche ripassati al ritorno. Scendiamo dentro una piccola valle per risalirla sul lato opposto, il vento di incanala e solleva un pulviscolo di 30 centimetri, sembra di camminare su uno strato di ghiaccio secco, momenti che vivi sul momento, difficili da descrivere e impossibili da dimenticare. Continuando per cresta arriviamo di fronte al Ceresa, la vetta più alta del sottogruppo, 1494 mt interamente ricoperta di bosco fino alla sua cima; avremmo dovuto scendere una profonda valle per poi iniziare un ripido traverso tra gli alberi. Poteva bastare, tra una cosa e l’altra il tempo era passato, la giornata ce l’eravamo presa e non valeva la pena continuare. Ce ne ritorniamo indietro per la stessa traccia, sulla nostra che incidendo i manti vergini aveva disegnato tonde e suggestive linee, solchi di aratro su campi bianchi, immagini sempre iconiche delle passeggiate invernali. Su e giù per le morbide alture di quella che è una dorsale discontinua, il paretone del Vettore si avvicina e il vento si è attenuato, regala più calore, gli orizzonti sempre chiari, ci affacciamo sul passo del Galluccio che nemmeno ce ne accorgiamo; tra andata e ritorno avremo percorso circa 5 chilometri, una lenta ciaspolata di media montagna di una giornata meravigliosa, attraversando ambienti semplici, andando verso Il Ceresa con le lontane linee della Laga sempre davanti e tornando con l’incombenza del Vettore a sovrastarci. Oggi eravamo partiti con ben altri propositi ma andava bene anche così, mentre ci toglievamo le ciaspole sulla strada ci sentivamo più leggeri di quando eravamo partiti, c’eravamo tolti il peso dall’animo che le tante chiusure inevitabilmente avevano accumulato. Non era finita, siamo scesi sul versante di Montegallo, ci attendeva una trattoria tra le casette di Balzo, degna chiusura di una serena giornata in compagnia di un caro amico.


Monte Piselli - 16 gennaio


Avevo dentro ancora la ciaspolata del passo del Galluccio chee il lockdown non era più una ipotesi, si era concretizzato nel tempo che si è fatta notte e tra i giochi di colori che ormai tutti conosciamo, se tutto andava male come ormai siamo abituati, nel giro di 2 giorni la mia regione sarebbe tornata arancione. Il sabato che avevamo davanti diventava l’ultima finestra per uscire di nuovo dal comune e la dovevamo utilizzare, qualunque sia stata la condizione atmosferica, che manco a farlo apposta era prevista nefasta o quasi, con copiose nevicate e solo margini di miglioramento per il pomeriggio. Fa niente, chi molla è un cornuto, abbiamo la montagna dietro casa che è sempre un eccellente piano B e complice Roberta che ci sarebbe venuta a trovare, organizziamo la salita al monte Piselli, una manciata di metri sotto i 1700, partenza dalla località San Giacomo, 650 m di dislivello, fra andata e ritorno 6 chilometri e se le previsioni venivano rispettate avremmo potuto vivere quella variabilità che ci piace tanto quando i vasti orizzonti lentamente si chiudono per trasformarsi in cielo grigio senza un contorno e chiudersi alla fine in una uggiosa nevicata. Così è andata, ci alziamo con comodo, e con altrettanto comodo usciamo, San Giacomo lo raggiungiamo in 20 minuti di auto; c’è sole pallido ma dura poco, verso Nord il cielo si scurisce in breve tempo e nemmeno troppo velocemente una coperta grigia uniforme si stende sull’orizzonte Ovest dei Sibillini, è neve di sicuro, il sole filtra ancora ed illumina le colline a ridosso del mare, un contrasto notevole amplificato dalla coltre bianca che attraversiamo ciaspolando. Aggiriamo le poche costruzioni di San Giacomo per evitare il pur minimo assembramento e raggiungiamo la pista baby da dove prendiamo a salire sul lato sinistro delle piste di collegamento. Non è il massimo salire sulle piste da sci, anche se intorno avevamo boschi, ma se volevamo rimanere soli non potevamo fare diversamente, non eravamo gli unici ad aver avuto l’idea di salire quassù. Seguiamo la pista di collegamento tra diversi cambi di pendenza e intanto inizia a sfiocchettare, prima piano, poi complice forse il fatto che anche se lentamente guadagniamo quota, con più insistenza; raggiungiamo la località delle Tre Caciare, la base di partenza degli impianti da sci, ci teniamo sulla pista che si stacca a sinistra per evitare la folla, la “direttissima”, e per andare ad intercettare la traccia che scivolando nel bosco raggiunge con poca pendenza la cima del monte Piselli. Al primo curvone della pista prendiamo un’ampia traccia che si scosta sulla sinistra, qualche centinaio di metri e prima che questa con un ultimo strappo si ricongiunga alla pista da sci intercettiamo il sentiero sempre sulla sinistra che si inoltra tra gli alberi; nevica a tratti, qualche momento la butta ma smette anche, non sembra convinto e quasi non confidiamo più di poter camminare per un po’ in mezzo ad una nevicata fitta. Non siamo soli ma non c’è ombra di assembramenti, qualche sciatore che sale con le pelli agli sci, è più veloce e gli diamo il passo, noi perdiamo tempo e siamo lenti, il bosco, incrostato di ghiaccio dalle nevicate precedenti da spunti per qualche bella fotografia e soprattutto per prendersi il tempo che da domani ci verrà negato di nuovo. La traccia nel bosco dura poco più di un chilometro, ci esce in vista delle antenne di monte Piselli, per arrivare alla vetta basta superare la gobba sommitale, che innevata ha comunque il suo perché, e raggiungere la struttura del vecchio rifugio, dove sappiamo poterci riparare dal vento che allo scoperto ha iniziato a soffiare fastidioso; il rifugio è ovviamente chiuso, apre solo con gli impianti aperti, l’ampia tettoia offre un confortevole riparo. Il bello della montagna di casa è che quando ti ci arrampichi finisci sempre per incontrare amici, e infatti così è stato dando alla giornata un senso e tanti motivi in più. Ovviamente tra una chiacchiera e un’altra ci si dilunga un po’, nel frattempo il cielo si chiude, quando ce ne accorgiamo ci sentiamo autorizzati a sperare e in pochi momenti riprende a buttarla e stavolta seriamente. Alziamo le tende, si è ammucchiata un po’ troppa folla, continuare a salire per la vetta del Girella, duecento metri più su ma anche oltre 2 chilometri più in là, non ha senso, nevica che Dio la manda, la visibilità è diventata davvero corta, volevamo camminare mentre nevicava e siamo stati accontentati, vedevamo concretizzarsi la giornata come l’avevamo immaginata e mancava solo il poterci rinchiudere al caldo in qualche locale “rustico” della zona, per cui senza tentennamenti abbiamo ripreso per la stessa via. Per venti minuti la neve è venuta copiosa, era bello vedere Roberta più avanti nel bel mezzo della quasi bufera e guardare i vortici dei grossi fiocchi tra gli alberi; nel traverso dentro il bosco, così come ha preso a nevicare con forza alla stessa maniera ha smesso, in pochi minuti il cielo si è aperto e la luce ha invaso il bosco, le cime dei faggi erano arabeschi bianchi che incrostavano l’azzurro, e come sempre ogni descrizione non restituirebbe un decimo delle sensazioni che ci cadeva addosso con tutta questa variabilità. Quando arriviamo alle Tre Caciare non nevica più e gli orizzonti sono aperti, il cielo si è richiuso un pochino ma non c’è più il profumo della neve imminente; a San Giacomo tante sono le famiglie e tanti i bambini che si divertono scivolando sui pendii con i loro slittini. Troppa gente, non c’è più nulla che ci tiene qui, anzi ad attenderci contiamo ci sia il rifugio Paci più giù, che però non siamo riusciti a contattare e che ci lascia quindi molti margini di dubbio. Quando ci arriviamo le auto sono parcheggiate anche sugli alberi, capiamo subito che non sarà facile trovare posto e di fatti così è; come se gli avessero tirato i capelli Roberta si vede sciupata la giusta conclusione della giornata e si incupisce, se la prende con la mancata prenotazione ma basta una telefonata per fargli ritrovare l’umore giusto, da queste parti c’è sempre una risorsa in più, un piano B, C e pure D, basta una telefonata per trovare un tavolo alla Casetta di Campagna, la nostra trattoria preferita quando ancora ad Aprilia, le sere tornado ad Ascoli, trovavamo sempre l’accoglienza che ci faceva sentire a casa. Ed ora avanti con l’arancione, abbiamo preso poco ma abbiamo rubato una bella giornata, per qualche giorno ci basterà a farci sentire meglio. Davanti sappiamo che c’è un lungo periodo di confinamento casalingo o meglio “comunale”, cercherò, cercheremo di tenerci viva il più possibile questa bella doppietta montanara.